Cominciamo con la finocchiella. L’ideale è quello primaverile, tenero, con i fusti carnosi, ma - necessità virtù - si può usare anche quello estivo/inizio autunno. Più si va avanti nella stagione, più è forte, per cui ne va usato meno e soprattutto vanno utilizzate solamente le foglie superiori più tenere. La forza del finocchiello dipende anche da dove nasce (mare, campagna) e dalla regione in cui nasce (Sicilia......). Difficile quindi dare una dose esatta. Diciamo a seconda dell’intensità e, del gusto personale, da 300 a 500 grammi pulito. Come ovviare? Il mio amico Mario Lobello ne fa incetta in primavera nella natia Sicilia, la riporta a Roma, dove, dopo averlo pulito e lavato, lo lessa per pochi minuti per poi congelarlo e usarlo nel corso dell’anno. Che dire, regolatevi voi con il “vostro” finocchietto per le dosi. Questo va pulito e lessato nell’acqua dove si cuocerà la pasta e dopo averlo scolato va triturato a coltello e messo da parte. Nel frattempo le sarde (dio come devono essere fresche!!!) belle pulite sono gettate nel’olio dove si è fatta appassire un cipollone (direi bianco, la cipolla va sentita) tagliato fine e fatto sciogliere un trito di alici sottosale (diliscate e sciacquate per bene). Alcuni, quando le sarde cominciano a sfarsi, aggiungono del vino bianco. Io no, il sapore “burino” delle sarde e aromatico del finocchietto, non vanno ammorbiditi da vini ruffiani. Aggiungete piuttosto un po’ d’acqua calda, per mantenere il ragout di sarde sempre morbido, dovrà accogliere una tipologia di pasta, i bucatini, che succhiano abbastanza liquido. Aggiungere anche i pinoli e l’uva che i siciliani chiamano passolina, una uvetta nera e piccolina con sentori aspri che teoricamente cresce solo in Sicilia, ma che può essere sostituita da analoghe uvette (mai bionde!) greche. Sarà poi la volta del finocchietto tritato e, gran finale, dello zafferano che avrete fatto sciogliere in un cucchiaio di acqua calda della pasta. Rimescolate il ragout di sarde e aggiungete i bucatini scolati al dente, mantecandoli con cura. Spero che leggendomi, l’amico Mario non trovi inesattezze, io comunque così la faccio e così mi piace.
Considerazioni.
Un mio vicino di un tempo, siciliano e chiaramente orientato politicamente, ogni primo maggio organizzava un pranzo campestre nel suo giardino, durante il quale tra altre leccornie serviva la pasta al forno con le sarde. In quella ricetta c’erano delle varianti interessanti, prima di tutto usava mezzi ziti o candele spezzate al posto dei bucatini e poi la pasta condita al dentissimo veniva stratificata nelle teglie alternata a sarde fritte. Come per tutte le paste al forno il condimento deve essere abbastanza liquido per non far seccare gli ziti in forno. Sopra a tutto va poi messo del buon pane grattugiato da far dorare sotto il grill prima di servire. Le teglie preparate il giorno prima venivano infornate la mattina del primo maggio per trasformare un giorno di lotta in un giorno di gran festa. Con sarde fritte messe su pasta analoga a quello della ricetta di Mario le ho mangiate anche in un ristorantea Palermo. Per me è un inutile ingolfamento di un piatto quasi perfetto.
Ho tralasciato appositamente le varianti con il pomodoro, che io non adoro. Fate voi, il web ne è pieno.
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