giovedì 22 maggio 2014

Raponzolo, Raperonzolo (Famiglia Campanulaceae)

Campanula rapunculus (Linneus) è una pianta erbacea biennale che possiede un fusto eretto, leggermente peloso, ramificato in alto. Le foglie basali sono di forma ovale, leggermente dentate e disposte a rosetta, mentre le foglie superiori sono lanceolate sessili e strette.

I fiori ermafroditi sono raggruppati in una infiorescenza racemose, con una luce corolla blu o viola a forma di campana, lungo circa due centimetri. Essi sono disposti lungo lo stelo in un cluster di fronte unilaterale abbastanza stretta. 

Il periodo di fioritura va da maggio a settembre. Il frutto è una capsula deiscente a forma di cono rovesciato con molti semi. La radice che si presenta come una piccola rapa  non contiene amido ma inulina la quale scindendosi produce levulosio anziché glucosio



In Italia è presente in tutte le regioni tranne Sicilia e Sardegna, cresce nei campi e nei luoghi incolti, al margine dei boschi e dei sentieri, negli oliveti e nei vigneti, dove predilige terreni freschi, senza ristagni d’acqua, fertili e tendenzialmente calcarei, si adatta però anche a quelli sassosi.

Fossi nato mille volte per altre mille volte vorrei rinascere solo per poter ancora una volta raccontare la favola di raperonzolo ai miei figli steso sul lettone grande. A Giovanni che si addormentava rannicchiandosi vicino tenendo, stretti nel suo pugno, i miei capelli. A Francesca che si sdraiava come una croce di sant'Andrea e si addormentava tenendo nella bocca il bordo masticato del suo fazzoletto, lei che mai ha posseduto un ciuccio né mai si è attaccata a un biberon. Ed io raccontavo di raperonzolo e dei suoi lunghi capelli di seta, del principe e della strega e della mamma ingorda di raperonzoli che ne barattò una manciata con sua figlia che per questo fu costretta a una lunga solitudine in cima a una torre. Tempi in cui le madri erano ragni pelosi e i padri irraggiungibili modelli da imitare. La misoginia dei Grimm sarà poi amplificata dal principe dei maschilisti: Walt Disney. Scompariranno addirittura le madri, ridotte solo a comparse o a matrigne perfide e streghe. E i padri "re leoni" assurgeranno ad assoluti protagonisti positivi delle vite favolose di Pocahontas, Fievel e poi sirenette, belle e bestie e Mulan varie
Ma torniamo a noi come si può barattare una figlia per dei raperonzoli? Difficili da trovare, con la radice grassoccia solo in inverno o all'inizio di  primavera quando già comincia a perdere quel sapore di noce che lo fa spiccare tra i nella sinfonia delle misticanze. Poi arriva l'estate e la radice è un arido pezzo di legno fibroso e senza sapore. In questa stagione la modesta piantina, abile a confondersi tra mille congeneri senza interesse alimentare o estetico, esplode con una lunga spiga fiorita di indaco. E uno passa per il prato fiorito di raperonzoli e si domanda come mai non li aveva notati prima alla fine dell'inverno quando li cercava per le sue insalate. Ma certo perché la pianta e modesta piccolina con un verde smorto. Bisogna poi trovarla anche in posti adeguati dove il terreno sia sufficientemente morbido o sabbioso da poter estrarre la radice senza che il lungo fittone si spezzi. Si la regina sapeva tutto questo e ancor di più sapeva che solo una strega poteva raccoglierne abbastanza per saziare le sue voglie di puerpera, che neanche i suoi cuochi gallonati o i suoi soldati più abili potevano di tanto.
PS Non dimenticate, dopo averla raccolta di pulire molto bene la radicina raschiandola con un coltellino in modo da lasciare alburno il fittone.




sabato 10 maggio 2014

Pimpinella romana (Famiglia Apiaceae)

La pimpinella (Tordylium apulum, L. e Tordylium officinale, L.) è stata un rompicapo per me e per il mio collega botanico, Alessandro Travaglini, che spesso disturbo per cercare di chiarire i miei dubbi sistematici. è stata un rompicapo perché la pimpinella, principessa di ogni misticanza che si rispecchi, lei che da un caratteristico odore canforato al concerto di sapori primaverile, beh lei NON è una pimpinella in senso stretto ricadendo queste nella medesima famiglia (Apiaceae, in buona compagnia con anice, prezzemolo e carota) delle "vere" pimpinelle, ma in tutt'altro genere, Tordylium e non Pimpinella. Ma lasciamo queste diatribe a chi ne sa più di noi e andiamo a descrivere la (le) piante che noi qui a Roma e dintorni chiamiamo pimpinella e che d'ora in poi io chiamerò pimpinella romana.
La pianta di solito forma una rosetta al suolo da cui si dipartono dei rami che raramente superano i 10-20 centimetri











 Le foglie sono leggermente pelose e pennate, con le foglie più basse ovale con segmenti dentati, e le foglie superiori con segmenti lineari. Ha 2-8 raggi primari. 






I fiori marginali hanno ciascuno 1 petalo bianco, allargato e profondamente bilobato. Le brattee e bratteole sono lineari a lungo sottolineato con la diffusione peli. Il frutto è orbicolare e appiattito, e di solito è di 5-8 millimetri.









Misticanza romana - Introduzione III

Dopo i primi passi nel mondo della misticanza, fatti inseguendo mio padre che si inerpicava dietro a quaglie e fagiani, cominciai a camminare da solo e i miei passi divennero spediti anzi speditissimi. Il 68 (che per me cominciò a ottobre, al liceo ginnasio statale Terenzio Mamiani di Roma) passò veloce e negli anni che vennero divenni presto quel che si suol dire un cattivo soggetto. Prima lotta continua poi India, canne e acidi, indiani metropolitani e, per finire, la realizzazione dell'utopia di un decennio fondando, insieme ad altri tre cattivi soggetti, una comune agricola: “la trinità" nei noccioleti di Capranica. La trinità non era solo un esperimento di “socialismo in un casale solo” era il punto di riferimento della gioventù rossa e bene di Roma nord. Ma io allora avevo altro per la testa che mischiarmi con i cittadini che cercavano un posto tranquillo per farsi un trip, io ero diventato contadino. La metamorfosi avvenne anche grazie al nostro vicino, Sergio. Sergio si vantava di aver visto una volta il mare, era stato quando era andato a fare il militare ma non ricordava quale e neanche dove. Ma di cose ne sapeva molte, contadino a tutto tondo mi insegnò come si sgozza un maiale, si forza il radicchio e si spollonano i noccioli, ma soprattutto mi insegnò a riconoscere almeno altre cinque erbe della misticanza. In realtà a fare misticanza non andavo con lui ma con la moglie, una signora che anagraficamente aveva una ventina d'anni più di me ma che in realtà aveva un corpo e una faccia senza tempo. Un giorno Sergio mi prese da parte e mi disse che lui non era geloso delle passeggiate che facevo con la moglie perché sapeva che ero un bravo ragazzo e non avrei mai approfittato di lei. Con impudenza giovanile stavo per mettermi a ridere, ma mi fermai in tempo. Sergio era mio amico e no, non lo avrei mai tradito neanche dicendogli che l'ultima cosa che mi sarebbe passato per la testa era fare la corte alla moglie. Se pur non appetibile, lei era una grande maestra e mi insegnò a distinguere:
pimpinella, caccialepre, cipicciosa, piede di gallo e indivia, quest'ultima in realtà scappata dagli orti e allignatasi nei campi.
Nel frattempo, più delle nascita della lotta armata, della crisi ideologica, del dilagare dell'eroina, stava avvenendo un cambiamento che mise termine alla nostra esperienza: la massiccia entrata della nocciola turca nel mercato tedesco e il conseguente crollo del suo prezzo in italia. Prime vittime di una globalizzazione agli albori e ancora un po' provincialotta, ognuno di noi prese la sua strada, chi per diventare proprietario di una ditta che costruisce depuratori, chi nella distribuzione all'ingrosso dei farmaci, chi a insegnare informatica alla sapienza e chi fisiologia a tor vergata. Mentre sergio, la moglie e il loro unico figlio rimasero li a capranica, un po' più poveri, perché i noccioli erano diventati più avari.

Questo post lo dedico a Sergio e a sua moglie di cui non ricordo il nome, che materialmente mi ha insegnato a conoscere la pimpinella.

venerdì 18 aprile 2014

Crema di asparagi selvatici con stracciatella di burrata, pane frattau e pioggia di gambuccio croccante.

Con mio padre, l'ultima passeggiata nei boschi, la feci alle macchie di Monte Romano a Trevignano. Andammo a prendere gli asparagi selvatici di cui lui andava ghiotto. Lui aveva, già da un paio d'anni, un cancro al polmone, ma non lo sapeva. Ma io si. Ci sarebbe morto il giorno prima di compiere 91 anni, un anno e un paio di mesi dopo quell'ultima passeggiata. Diceva che faticava troppo a inerpicarsi per quelle vallette, che gli mancava il fiato. Io lo schernivo dicendogli che, un po' di fiatone a novant'anni, sopratutto in salita, era giustificato. Sapevo che non poteva essere la lesione, che all'epoca era ancora una nocciolina posta proprio sotto la pleura, ma solo la solita mania a lamentarsi che lo contraddistingueva. Fummo fortunati quel giorno, non solo perché di asparagi ne trovammo un bel po' ma anche perché ad un certo punto cominciammo a sentire i versi di un fagiano in amore. Era il tempo suo, scherzammo e non più il tempo nostro, per fare i galletti in giro pei boschi.  Mio padre non portava gli occhiali ne' da vicino ne' da lontano. Siccome gli dava fastidio piegarsi, mi indicava i polloni da lontano e io li coglievo, recidendoli con un coltellino opinelle affilatissimo che lui portava sempre con se. Ogni volta che mi abbassavo, mi diceva: "batti, che le vipere si stanno svegliando". E già a fine febbraio-inizio marzo le ghiandole del veleno sono gonfie ma le vipere, che di solito scappano al sentire qualunque fruscio, sono ancora intorpidite dal freddo e possono rispondere in modo inusuale a vedere una mano che si avvicina tra le piante del loro regno. Tenetelo presente e battete la zona con un bastone prima di infilarci la mano dentro.
Dedico a papà questa ricetta che a lui non sarebbe piaciuta molto (lui amava frittata e pasta con gli asparagi), perché troppo macchinosa, ma che invece è stata gradita un bel po' dalla mia famiglia.


Ingredienti
Un mazzetto di asparagi che avrete trovato in una bella mattinata di fine inverno-inizio primavera, mezzo porro, una cipolla o la parte verde di un cipollotto, patate per 200 grammi, stracciatella di burrata (o burrata), prosciutto tagliato a striscioline da un gambuccio "nobile", pane frattau, sale, pepe, burro.
Ricetta
Pulite gli asparagi. Tutto ciò che non è edibile perché troppo duro o fibroso, lavatelo e mettetelo a bollire in poca acqua insieme a mezza cipolla (o il verde di un cipollotto) e a un po' di verde del porro.

Fate fondere del burro in un filo d'olio aggiungete mezzo porro (la parte bianca) tritato e, quando si è ammorbidito, gli asparagi, tagliati a tocchetti, tenendone da parte il 15-20 % delle punte per dopo. Aggiungete un paio di patate di 100 grammi ognuno, pelate e tagliate a tronchetti. Salate, pepate e aggiungete l'acqua di cottura degli scarti degli asparagi. Dopo una ventina di minuti, frullate tutto con il mixer a immersione e rimettete a cuocere a fuoco bassissimo. 



Eventualmente mettere un po' d'acqua se la vellutata risultasse troppo densa. Aggiungere le punte tenute da parte e far cuocere per altri cinque minuti in modo che queste rimangano croccanti. A parte tagliate una fettina di prosciutto dal gambuccio e fatene delle striscioline sottili che friggerete in una padella antiaderente con un nonnulla di olio fino a renderle croccanti.  Servite la crema, mettendo in ogni piatto una montagnola di stracciatella, una spolverata di pepe e le listarelle di gambuccio che avrete scolato del loro grasso. Servite a parte del pane frattau o a vostro piacimento crostini. 



Il prosciutto e questo pane rustico ma buonissimo che viene dalla sardegna, a mio avviso danno il giusto equilibrio al sapore forte degli asparagi e a quello ballerino e rinfrescante della burrata. Ci abbiamo bevuto sopra un Cesarini Sforza, spumante trentino classico, che è buono come un Ferrari ma meno frizzante e meno caro di circa un euro rispetto a quest'ultimo.

Rigatoni con asparagi selvatici del curato di Santa Maria a mare

La Pasqua del 1975 la passai insieme ad un bel gruppo di amici alle Tremiti. Avevamo affittato una casa per qualche giorno a San Domino e il sabato prendemmo il traghetto per visitare San Nicola. Forse per un disguido, forse per nostro rimbambimento, forse perché le corse pasquali erano ridotte, perdemmo l'ultimo traghetto e ci ritrovammo bloccati sull'isola. Ricordo Giovanni sconsolato, appoggiato a un muretto mentre guardava salpare il traghetto ormai irraggiungibile, lamentarsi che la mattina seguente sarebbero stati guai grossi per lui senza un bagno nel quale rinchiudersi tranquillo. L'esser superiore a Giovanni in questo genere di cose - ero avvezzo a fare quel che dovevo fare in qualunque situazione - fu però gloria di poco conto: lui in qualunque situazione faceva bene altro e in modo ben più soddisfacente. Giovanni aveva per'altro fugaci rapporti carnali con Gloria, anche durante quei giorni tremitani e anche quando si trovavano a stare nel letto vicino al mio. Pur avendo l'avvertenza di iniziare subito dopo che io mi fossi addormentato, ritmici movimenti e sospiri affannati mi svegliavano e il vederli avvinghiati mi addolorava. Gloria, la danzatrice finlandese dai capelli ricci e gli occhi profondi, mi piaceva infatti non poco. Mentre il mio cuore era lacerato e la giornata passava confusa da sostanze che rendono stupefatti, in quantità eccessive perfino per i nostri fisici di ventenni, ci trovammo a risolvere il problema di dove dormire. Era freschetto e non avevamo dietro nulla per coprirci, sarebbe dovuta essere una breve gita nulla più. Battemmo alle porte della astanteria della parrocchia di Santa Maria a mare (possibile che veramente si chiamasse così e che dopo quarant'anni ancora mi ricordi il nome a dispetto del tempo passato?) e un giovane ma cazzuto prete ci aprì, ci fece entrare, ci rifocillò e ci mise a disposizione un camerone con dei materassi per terra nell'interno della chiesa. Verso i preti non sento un grande afflato, non solo verso quelli cattolici: iman e muftà mussulmani, rabbini, monaci buddisti, sacerdoti induisti o zoroastrani per me pari sono. Ma certe volte c'è da dire che se ne incontrano di eccezionali. Il sacerdote in questione, di cui non ricordo il nome, era uno di quelli e dopo una notte passata in canonica - dove i due continuavano ad accoppiarsi dando uno spettacolo che mi strizzava il cuore - ci offrì anche il pasto della santa Pasqua che lui stesso con il nostro aiuto cucinò. Il pasto rimane uno dei vertici gastronomici della mia vita, che Vissani o Beck non raggiungeranno mai. Alcuni parrocchiani gli avevano regalato un capretto, che si diceva essere cresciuto libero sull'isola e che fu servito con patate e insalata d'orto. Altri parrocchiani gli avevano invece procurato un bel mazzo di asparagi selvatici con cui lui apprestò una pasta clamorosa. Del vino - un sfuso contadino pugliese - non posso dire altrettanto.


La ricetta della pasta era semplice, con un po' di cipollina appassita in olio e burro ad accogliere le punte degli asparagi bolliti per un tempo brevissimo nella stessa acqua nella quale avrebbero cotto in seguito i rigatoni. Alla fine nel padellone, la pasta era mantecata con abbondante cacio pecorino (io lo smezzerei con del parmigiano, a meno che non abbiate il suo stesso pecorino, molto soave) pepe, una noce di burro e un po' d'acqua della pasta per mantenere la giusta cremosità.



Partecipai al gruppo del lavaggio suppellettili usando l'acqua della pasta che era rimasta calda perché non c'era scaldabagno in canonica. Mentre usciva il caffè, con la coda dell'occhio vidi i due appartarsi giù da basso con aria furbetta. E va beh, pensai questa è andata, prepariamoci alla prossima battaglia perché questa è bella che persa. Gli asparagi, il capretto, le parole del prete cazzuto mi avevano reso più saggio.

PS Vedo ancora e sono rimasto molto amico sia con Gloria che con Giovanni. Lei è sposata con Carlo, ha smesso di insegnare danza e ha una figlia bella come lei. Ora tiene un Agriturismo a Trevignano in un annesso della sua bellissima casa. Giovanni ha lasciato l'università, ci eravamo iscritti insieme alla stessa facoltà, e di mestiere suona la chitarra, ed esattamente i Beatles. Lo potete trovare tutti i giorni che ha fatto Iddio alla fermata della metropolitana "Re di Roma" dalle 17 alle 19. Andateci, è bravissimo. Probabilmente avrebbe potuto ambire a palcoscenici più prestigiosi, ma si sa lui si spaventa anche solo per un traghetto che parte in anticipo. Ma ha altre qualità.

Asparago selvatico (Asparagaceae)

Con asparago si intende sia il germoglio sia la pianta in toto dell'Asparagus officinalis (Linneus, 1748). 



Originario del Nord Africa è diffuso ovunque nel bacino Mediterraneo ma anche in Asia fino e oltre la Mongolia. I rami, che nascono direttamente dal suolo, sono composti da morbide foglioline aghiformi raggruppati in modo alternato da gruppi di un massimo di 5 foglioline. Gli steli sono deboli così che i rami tendono a calare sotto il peso. 





Cresce in terreni aridi, ai margini dei boschi, nei fossi lungo le strade e intorno a vecchie piante nella macchia mediterranea. Concorrono a formare la macchia mediterranea. La parte edibile è rappresentato dal giovane pollone che sorge ai piedi (o nelle vicinanze) degli steli principali.


martedì 8 aprile 2014

Caccialepre, Grattalingua, Terracrepolo (Compositae)


Caccialepre, Reichardia picroides (L.) Roth è una pianta erbacea, perenne fornita di una radice ingrossata dalla quale vengono emessi getti formati una rosetta basale di foglie verde-glauco, glabre con margini spesso purpurei. Le foglie sono tenere e carnosette e contengono un lattice dolciastro.


Le foglie hanno una forma variabile, sono allungate e possono essere intere ma più comunemente divise in piccoli lobi. 


Dalle rosette emerge uno scapo, alto fino a 40 centimetri il quale porta capolini cilindrici piriformi prima della fioritura, costituiti da fiori gialli, gli esterni in genere bruni o venati inferiormente da strie purpuree. Il caccialepre cresce comune sui terreni sassosi, le scarpate e sugli incolti aridi fino ai mille metri di altitudine.


giovedì 3 aprile 2014

Misticanza presa di corsa, con tagliata di tonno al sesamo

Ero indeciso sul da farsi, se fermarmi da Marco a prendere un po' di latte della mattina (erano le cinque e dopo l'ora legale, Marco munge le sue pecore verso le sette abbondanti) oppure fermarmi a prendere qualche asparago su un fosso, al margine del bosco su uno stradello che conosco io. Ma avevo bisogno di immergermi un po' nella natura, volevo sentire puzza di pecora o infilare la mano tra ispidi grovigli di asparagina, volevo veder passare una volpe che tornava alla tana con l'ultimo prelibato topo in bocca. Troppo ero stato in fila sul raccordo - grande e anulare - troppo il mio sguardo non aveva visto altro che macchine in fila e i palazzoni della Serpentara che non si avvicinavano mai. Decisi che ero troppo stanco per fare il formaggio, e ho optato per gli asparagi. Ma il sentierino nel bosco non è noto solo a me per essere prodigo di asparagi e una mano lesta di qualche paesano mi aveva tolto il piacere di una frittata di asparagi. Vidi la scarpata piena di pimpinella, molta in fiore, altra buona da cogliere, qualche caccialepre, del crespigno, cicoria no che li non ne cresce e non mi andava di tornare indietro verso Cesano a farne sui campi di Via prato corazza. Poi un po' di finocchietto per odorare il tutto. A casa avevo un rimasuglio di radicchio di quello buono e della ruchetta di supermercato. La misticanza era bella e fatta in cinque minuti.




Ricetta
Tonno: due tranci belli altini per due persone, sesamo, soia, limone, misticanza profumata (nella mia c'era finocchiella e pimpinella a dar verve al tutto), olio e tutto quello che vi piace per condire.

Ho preso i due pezzi di tonno e, mentre preparavo l'insalata, li ho messi in una ciotola a marinarsi con la soia. Ho condito l'insalata con olio e pochissimo aceto e poi ho "impanato" i tranci di tonno nel sesamo e l'ho cotti violentemente e brevemente usando una padella dal fondo spesso. Come potete vedere dalla foto in realtà il tonno non era scottato ma bello cotto. Non così da rimanere stoppaccioso ma abbastanza per farlo piacere alla mia signora che troppo crudo non lo sopporta. Scaloppato (mi si perdono il termine da programma televisivo) l'ho adagiato sulla misticanza e ho portato questa sinfonia di sapori a tavola. Prima di tagliar il trancio l'ho fatto raffreddare sul tagliere, quindi l'ho messo ancora tiepido sulla misticanza. Non preoccupatevi, il nerbo di questa insalata sopporta ingiurie anche più violente. Nella fretta e nella pigrizia di non riuscire da casa, avevo dimenticato il vino. Quello che avevo in casa non c'entrava molto e così ho pasteggiato ad acqua di Nepi, che tra le acque locali è quella che preferisco.


giovedì 27 marzo 2014

Padella di anguille e tarassaco

Le anguille si pescano con l'ombrello, mi raccontava mio padre. Questa frase ce l'ho nella testa, ma non ho mai capito fino in fondo come il sistema funzioni. Questo perché non ho mai pescato anguille, anche se vivo ad un passo dalle rive del lago d'Anguillara proprio dove i pescatori locali mettono i loro martavelli per catturare la pregiata, ma non da tutti apprezzata, preda. Ma torniamo all'ombrello. In pratica il problema della pesca all'amo è che l'anguilla, una volta allamata, si attorciglia intorno alla lenza ed è molto difficile srotolarla dal filo. L'anguilla peraltro è praticamente immortale e si continua a muovere per un tempo ragionevole anche quando è fatta a pezzi. In pratica, ogni anguilla una lenza da buttare. Nella la pesca con l'ombrello, al posto della lenza classica si usa un groviglio di lombrichi legati ad un filo senza amo che viene lanciato in acqua e l'anguilla, che con la luna arriva praticamente a riva, attacca avidamente il groviglio vermesco rimanendo attaccato al filo. Qui l'abile pescatore deve essere lesto a tirare su vermi e anguilla che mancando l'amo si distacca per lasciarsi cadere; ma nel frattempo sotto il pesce è stato messo l'ombrello aperto con il manico rivolto in su. L'anguilla che cade è quindi presa dall'ombrello aperto che in pratica si comporta quasi fosse un retino. Già ma perché non si usa il retino? Erano troppo poveri per comprarne uno i pescatori di anguilla d'antan? non è commerciato un retino dal diametro vasto come un ombrello? Varie possibilità, non una risposta certa. Tralasciamo la complessa pesca e dirigiamoci da Toto o da Angeletto, qui ad Anguillara le anguille non mancano. Vive, morte, pulite o come volete voi. Acquistate delle ciriole, quelle piccoline che si cuociono in un non nulla e fatevele tagliare a tocchetti. Il tarassaco lo andrete a prendere in un qualsiasi campo nei pressi del lago; mi raccomando l'aglio, l'unico decente da queste parti ce l'hanno "le ragazze" dietro San Francesco, il resto è tutta roba spagnola o peggio cinese. Preferisco il tarassaco al posto della cicoria (c'è una ricetta napoletana che ne fa uso) perché è più ruvido e più amaro di quest'ultima, così il grasso dell'anguilla sarà stemperato meglio e il dolce di questo strano pesce si rincorrerà avvinghiandosi al sapore dell'erba così come da viva fa con la lenza. Ovviamente la cicoria al posto del tarassaco, andrà benissimo lo stesso. 

La ricetta
Anguille piccole che a Roma chiamano ciriole, pulite e tagliate a tocchetti circa 600 grammi, Tarassaco o altra cicoria, un chilo o meglio una busta del supermercato piena, aglio, olio, peperoncino di quello serio, sale.

Pulire la verdura lessatela e raffreddatela in acqua gelate, gli farà mantenere un bel colore verde, strizzatela bene e tritatela molto grossolanamente. Nel frattempo soffrigete aglio e peperoncino e aggiungete la cicoria dandole una bella "ripassata", mettetela di lato nella padella o in un piatto e nella medesima padella cuocete i tocchetti di ciriole. A fine cottura riaggiungete la cicoria alla padella e fatela insaporire nel grasso delle anguille. Mangiarla calda con un vino frizzante e secco o un bianco che ripulisca le papille, magari con una punta di retrogusto amaro. Non molto alcolico.



Tarassaco, Dente di Leone, Pisciacane, Piscialletto, Soffione (Famiglia Asteraceae)

Il tarassaco (Taraxacum officinale, Weber ex F.H. Wigg, 1780) è una pianta erbacea perenne non particolarmente alta con una lunga e robusta radice a fittone dalla quale si sviluppa la rosetta basale a livello del suolo. Le foglie sono lobate con margine dentato e senza nessun tipo di peluria. I fiori del tarassaco sono giallo vivo raccolti in capolini apicali portati da un lungo stelo alto anche 40 cm, liscio e cavo al suo interno.Da ogni fiore si sviluppa un achenio provvisto del caratteristico pappo. Si trova un po' dappertutto in Europa in prati e pascoli, ma spesso anche in aiuole e giardini.








Il tarassaco è un po' più amaro e coriaceo della cicoria ma ha un gusto simile, piacevoli, quando la pianta è giovane, alcune sue foglie tenere nella misticanza. Mio padre, la inseriva nel cesto delle "cicorie".

domenica 23 marzo 2014

Tortelli di Borragine e Ricotta

Domenica con Agata
Agata è l'ultima arrivata, circa un anno e mezzo fa, in famiglia. È la terza figlia della generazione dei nostri figli, nipote di mio cognato. Va beh quel che si il suo arrivo ha rotto un digiuno di circa sei anni senza nuovi arrivi. È quindi molto festeggiata e viziata per un privilegio che le apparterrà fino all'arrivo del nipote successivo. Intorno a lei si riunisce la famiglia ogni qualche domenica e, lo zio prestigiatore, la zia archeologa, il vecchio patriarca, l'ammiraglio Renato e i mille altri zii e cugini la coccolano come una star. La mamma di Agata insieme a mia figlia ha partecipato a confezionare un bel numero di tortelli di borragine e ricotta. La bontà non era nella complicazione della ricetta ma dall'eccellenza degli ingredienti: uova delle galline della vicina, ricotta di Marco, le cui pecore pascolano qui intorno e borragine che quest'anno è quasi infestante che io avevo raccolto la mattina in una stradina che si inerpica verso il lago di Martignano. Ad Agata per precauzione sono stati serviti solamente la pasta senza ripieno, la presenza di alcuni alcaloidi nella foglia della borragine rendono questa pianta poco adatta a bambini piccoli, anche se la lunga cottura dovrebbero averli eliminati quasi completamente.



Tortelli di Borragine e Ricotta (x 8)
Pasta: 8 uova intere, 350 di Farina bianca, 400 di Semola, più un po', un giro d'olio e un pizzico di sale. L'arrivo di una bella impastatrice, ha di molto facilitato la preparazione dell'impasto, che poi ho lasciato riposare un paio d'ore in frigo.
Ripieno: 500 grammi di borragine ben pulita, 800 grammi di ricotta di pecora setacciata, 100 grammi di un pecorino stagionato circa due mesi grattugiato, pepe nero, sale.
Condimento: burro, parmigiano (più buono è meglio è), qualche foglia di maggiorana
Per servire: fiori di borragine
Tirata la sfoglia si sistema l'impasto e si chiudono con attenzione con un'altra sfoglia; i tortelli si definiscono con un coppapasta dal diametro che vi soddisfa. A me piacciono grandi così che si sistemano quattro o cinque nel piatto. Bastano pochi minuti per cuocerli (2 o 3 a seconda dello spessore della pasta). Scolarli con una schiumarola e condirli mano a mano con il burro a pezzetti e abbondante parmigiano. Arricchite il piatto con i fiori che lo renderanno primaverile e ancora più appetibile.


Borragine (Famiglia Boraginaceae)


La borragine, (Borago officinalis, Linneus) è una pianta erbacea annuale, alta 30-40 cm, ispida per la presenza di una peluria pungente. Possiede una infiorescenza in pannocchia con fiori caratterizzazti da un bel colore azzurro posti su lunghi peduncoli; i fiori posseggono petali uniti, simmetria raggiata con una ampia corolla a cinque lobi. Diffusa in tutta Italia, la borragine cresce in luoghi coltivati, fra le macerie, lungo le siepi.



     
                      



domenica 16 marzo 2014

Crespigno, Grespigno, Lattarolo
, Graspignolo (Famiglia Compositae)

Il crespigno (Sonchus oleraceus Linneo,  1753 ) è una pianta erbacea di solito annuale alta fino ad 1 m, con una robusta radice a fittone provvista di fusti eretti, ramosi dal basso, spesso rosso-violacei e cavi internamente.
Le foglie basali picciolate, riunite dapprima in rosetta, sono molli, opache, di forma molto variabile da lanceolate a roncinate, a triangolari. I fiori sono di un giallo intenso al centro, presentano spesso ligule più chiare esternamente. Si dischiudono di primo mattino e con l'intensificarsi del sole si richiudono dopo poche ore insofferenti al caldo.
Cresce ai bordi dei campi coltivati e delle strade, nei terreni ruderali, nelle vigne,  nei centri abitati tra le fessure dei vecchi muri e finanche dei marciapiedi. Estate e primavera evita solo le più gelate giornate invernale. Plinio il Vecchio sostiene che Teseo se ne nutrì prima di entrare nel labirinto per uccidere il Minotauro.

Il crespigno è buono da mangiare crudo in insalata quando è giovane, mano a mano che cresce va a finire nel pentolone della misticanza bollita a cui da robustezza e complessità. Non manchi mai qualche fogliolina nella insalata di campo, il leggero pizzicorino che le sue foglie spinosette provocano in bocca, stimolano la voglia di fermarsi e di prendere un boccone di pane casareccio che sempre deve accompagnare questo genere di insalata.





mercoledì 26 febbraio 2014

Insalata di cicoria e arance

Questa insalata è un antipasto per le domeniche di marzo, quando le arance sono ancora sull'albero e la cicoria già rispunta nei campi. Accompagnerà le prime uova, magari poché o fritte in tegamino ma di sicuro prese in un pollaio vero. Armatevi di un coltello a lama robusta e con questo cogliete le rosette più tenere delle piante di cicoria che nascono, dopo un faticoso inverno, intorno agli steli secchi. Pulite le piantine mano a mano che le cogliete, non sporcherete di terra il raccolto e vi avvantaggerete. A casa lavate la cicorietta, mettetela in un piatto e unitevi alcune nocciole tostate per pochi minuti in forno e poi frantumate grossolanamente con un pestello. Aggiungete anche a vostro piacimento spicchi di arance pelati "a vivo". Lo farete eliminando la buccia del frutto e la pellicola bianca e poi tenendolo fermo in mano, isolando con un coltello i vari spicchi dalla pellicina che li avvolge. Fatelo con un coltello di ceramica, che oltre ad essere il più adatto all'uopo vi procurerà penetrando nel frutto una sensazione che, come dice il mio amico Miki, è paragonabile a quella del buon sesso. Inevitabilmente l'operazione farà gocciare del succo che dovrete conservare per usarlo insieme a olio (non aggressivissimo) di oliva, aceto di lampone (o in mancanza di questo poche gocce di vero o finto balsamico), sale e un nonnulla di pepe, per farne la viangrette con cui condirete l'insalata. L'ultima, non obbligatorio ma consigliato condimento sarà rappresentato da polvere di buccia di arancia. Questa si fa grattugiando finemente la buccia esterna dell'arancia (se amara meglio); quello che risulterà spargetelo su una placca coperta da carta di alluminio che metterete al forno bassissimo fino a che non sarà completamente secca. Si può conservare in un barattolo e potrete usarla per insaporire pesci, paste o altre insalate. O in ogni caso quello che vi piace che volete che sappia fortemente di arancia. Ecco un piatto semplice ma perfetto, una sinfonia di sapori che vi aiuterà ad aspettare la primavera in arrivo.




Cicoria comune, radice amara, radicchio di campo (Famiglia Asteraceae)

La cicoria (Cichorium inthybus, Linneus, 1753) è una pianta erbacea solitamente perenne con un vastissimo areale di distribuzione. Da noi si ritrova nei prati incolti, lungo le scarpate e ai lati dei sentieri e dei viottoli di campagna. La pianta possiede un rizoma che prosegue con una radice a fittone, affusolata che rimane bianca all'interno. Le foglie poste più in basso sono disposte a rosetta e si seccano nel periodo della fioritura che avviene in estate. Le foglie disposte lungo il fusto sono invece prive di picciolo ed avvolgenti il fusto che si presenta cavo e sottile, alto fino a più di un metro. I fiori sono numerosi, ermafroditi, disposti all'ascella delle foglie, di colore azzurro-lillà ed hanno la particolarità che si aprono all'alba e si richiudono la sera (pianta eliotropa). Ne esistono molteplici varietà coltivate.



La cicoria, appena spuntata in primavera o in autunno, è elemento fondamentale della misticanza (e di quella di Giorgio in particolare). Di seguito propongo una altra insalata, dove il gusto amarognolo di questa pianta è mitigato dal dolce dell'arancia e accompagnata da nocciole.