lunedì 2 novembre 2020

Borek con Preboggion

Per prima cosa definiamo Borek. Il borek è un "torta rustica" turca nella quale pasta fillo, o qualche cosa che ci assomiglia molto, funge da contenitore per verdure, formaggi o anche carne. E' molto presente in Turchia e possiede mille varianti sul tema in tutto il bacino levantino.

Per seconda cosa provo a dare una definizione del preboggion. Con questo termine genovese si indica una miscela di erbe selvatiche primaverili/autunnali che una volta cotta e mescolata con ricotta o cagliata serve per ripieno di pansotti o di torte pasqualine. La composizione non è univoca, così come nel caso della misticanza romana, e varia con il variare dei luoghi, della stagione e addirittura della situazione climatica durante la quale le erbe si raccolgono. Ovviamente serve una buona conoscenza delle erbe per evitare che alcune, con caratteristiche più marcate di altre (l'amaro della cicoria, la viscidezza della malva, etc) sovrastino le altre erbe. Insomma seppur schiavi del periodo dell'anno e dell'ambiente dobbiamo cercare di armonizzare le varie essenze. Qui potete trovare una buona descrizione dei possibili candidati per un corretto preboggion. Io ho solo osato fare un mischiume, sperando che gli eventuali lettori genovesi perdonino la mia "ὕβϱις".


Dopo accurata pulizia ho lessato tutto in acqua salata, tritato e ripassato con un filo d'olio in padella per asciugare un po' il  tutto. Ho aggiunto una analoga quantità di ricotta passata, pepe nero e una grattugiata di parmigiano.

 Mia moglie ha poi adagiato tre o quattro sfoglie di pasta fillo in modo consono per poterla arrotolare una volta riempita con il proboggion, e farne una spirale. Infornata per 25 minuti in forno statico non molto caldo, è stata - accompagnata da due famigliole (chiodini) due - la nostra cena. 

sabato 17 ottobre 2020

Salvastrella minore, Pimpinella, Meloncello, Erba perseghina (Rosaceae)

 Pimpinella, che confusione!!!

Un post di un lettore mi ha spinto a cercare di fare chiarezza sul nome comune "pimpinella". In realtà il lettore nel suo post faceva bene a rimproverarmi per l'uso di nomi comuni per definire una specie e decisamente questa storia della pimpinella gli da ragione. Questo è uno dei casi nei quali la sistematica "accademica" si scontra con la farmacopea popolare. Andiamo con ordine. 

Per pimpinella si intendono almeno tre piante moto diverse tra di loro e appartenenti addirittura a due famiglie differenti. La prima è quella descritta precedentemente nel mio sito come pimpinella romana (Tordylium apulum, famiglia  Apiacea) e corrisponde a quello che nella gran parte delle campagne e dei mercati romani si indica per pimpinella. 

Nella classificazione ufficiale esiste una Pimpinella anisum (Linneo, 1733) che corrisponde a quello che viene chiamato in volgare anice selvatica. E' una Apiacea, come la Tordylium, ma appartenente ad un altro genere.  Per finire, su molti libri e siti divulgativi, il nome è quasi esclusivamente associato ad una altra pianta ancora la Poterium sanguisorba (Linneo, 1753) che appartiene invece alle Rosaceae, inutile dire insieme a quale altra pianta. A complicare le cose il nome comune del Poterium è stato, non so come e non so quando mutato da pimpinella a quello di salvastrella minore che va ad aggiungersi a quelli regionali di meloncello o erba perseghina. Per ultimo, va detto che il Poterium ha come nomi volgari quello di "Pimpinella menor" in spagnolo e di "Petite pimprinelle" in francese. 


La salvastrella, quella nella foto, la ho raccolta proprio ieri in un prato vicino alla mia facoltà (morirò senza mai usare il termine macroarea per definire una Facoltà, come circolari burocratesi hanno sancito, subito dopo aver svuotato questa struttura di tutti i suoi attributi). La ho raccolta insieme a vari altre piante per comporre un preboggion (Misto di erbe selvatiche di origine genovese) la cui ricetta vi darò prossimamente.


martedì 13 ottobre 2020

Ali di pollo con riduzione di IPA ai coni di luppolo

 La ricetta - Chicken Wings - è presa dal libro Cooking With Hops citato precedentemente. In realtà è stata reinterpretata alla luce della cattiva spiegazione sulla quantità di luppolo da usare e anche per il fatto che non avevo jalapeno sottomano e ho usato al suo posto un peperoncino del mio giardino e ho messo un pochino meno della tazza di miele presente nella ricetta originaria. Ma sopratutto non ho fritto ma arrostito le ali di pollo.


Prima di iniziare due parole su cosa è la birra IPA. L'acronimo deriva da India Pale Ale, un tipo di birra inventata in Inghilterra all'inizio del 800' e inizialmente destinata alla esportazione per i britannici che vivevano in India. Per evitare che andasse a male durante il lungo viaggio, la birra era fortemente luppolata e subiva una doppia fermentazione che la rende mediamente più alcolica delle classiche birre Ale. Quindi già di partenza la ricetta parte da una birra fortemente amara, poi ne fa una riduzione rendendola ancora più amara e alla fine aggiunge altro luppolo che sottolinea ancora di più questo aspetto. 

 

Le ali le ho insaporite di salvia/rosmarino/aglio/timo/sale e succo di una arancia, quindi dopo una oretta di marinatura, adagiate su carta forno leggermente oliata e tenute la forno robusto per circa 45-60 minuti. 

A parte mi sono dedicato alla salsa. A 660 ml di una birra IPA è stata aggiunta mezza tazza (troppa) di coni di luppolo secchi. 







Ho fatto bollire tutto fino a ridurre il volume al 50% iniziale. Ho quindi aggiunto il succo di mezza arancia con parte della sua scorza, uno spicchio d'agliopeperoncino seccoe poi passato per un colino a maglie fini. Ho rimesso a ridurre l'infuso a base di birra e vi ho sciolto due cucchiai di miele. La grossa quantità di miele ha la duplice funzione di aiutare ad addensare la salsa e dare un po' di dolcezza per equilibrare l'amaro intenso che proviene dal luppolo e dall'IPA. 



Alla fine ho ottenuto uno sciroppo denso dal forte sapore amaro con note di aromaticità accattivante.



La ho servita insieme alle ali la cui caratteristica untuosità è stata completamente sradicata dall'amaro della riduzione. 



La prossima volta userò meno luppolo (forse il mio selvatico è troppo amaro) ma per il resto credo di essere sulla buona strada.


 

martedì 6 ottobre 2020

I coni del luppolo

Ero andato al lago a fotografare i cormorani che si godevano le ultime luci del giorno 


quando vidi che le piante di luppolo che a primavera mi avevano dato una bella quantità di "bruscandoli",  erano ora pieni di meravigliosi fiori verdi e fantasiosi. 

 

Ne ho colti qualche ramo che ho portato a casa per farli seccare in vista di un loro utilizzo culinario.

                                

Ho cercato di capire, girando su internet se fosse possibile utilizzare i coni in cucina, oltre che per aromatizzare e rendere amara la birra. Nessun sito italiano ne fa menzione ma se si digita "Hops Recipe" Ricette con il luppolo, appaiono abbastanza siti statunitensi e canadesi nelle quali sono abbozzate delle ricette. A cercar bene si osserva che la gran parte derivano da un unico ricettario pubblicato in un libro dall'altisonante nome di "Hedonistic Hops: Cooking with Hops". 

                              


L'autrice del testo, Marie Porter (in realtà il marito Michael Porter ne è coautore), ha anche un sito:
https://www.foodbloggersofcanada.com/hedonistic-hops-cooking-with-hops/ 
dove si imparano un po' di cose sulla conservazione e l'uso dei coni di luppolo. Il libro, che è reperibile su Amazon è caretto e per ora non lo comprerò, però smanettando su internet si trovano parecchie delle ricette (una limonata, delle ali di pollo, uno spezzatino di manzo etc.) riportate da vari siti che lo hanno razziato. Sarà mia cura, postare una ricetta appena sarò soddisfatto.  

Nel frattempo ho imparato un po' di cose sul luppolo e sui suoi coni e ne sono rimasto affascinato. Con coni del luppolo si indicano i fiori femminili dell'Humulus lupulus una pianta di cui già parlammo quando trattammo i bruscandoli. I coni vengono utilizzati principalmente per aromatizzare la birra, e sono caratterizzati dal contenere oli essenziali come il mircene, l'umulene, il cariofillene e il farnesene che oltre a fornire l'aroma caratteristico del luppolo agiscono come agenti antibatterici naturali. Il luppolo è ricco di fitoestrogeni che, ingeriti possono mimare l'ormone estrogeno, aumentando la salute delle ossa e del cuore e promuovendo la produzione di latte nelle madri che allattano. Il luppolo è appartiene alla famiglia delle Cannabaceae quella a cui appartiene anche la Canapa indica da cui deriva hashish e marijuana. Anche se il retrogusto del suo profumo ricorda da vicino la marijuana, il luppolo fresco non condivide gli stessi cannabinoidi della indica. In quanto erba medicinale, si ritiene che il luppolo favorisca il rilassamento e allevia lo stress. Possono anche alleviare l'ansia, lenire la digestione e favorire il sonno. A tal fine, il luppolo nella tradizione veniva nascosto nei cuscini (insieme a lavanda e altre erbe profumate) per aiutare a indurre un sonno ristoratore.

Il luppolo contiene due classi di acidi (alfa e beta) che influenzano rispettivamente il gusto e l'aroma della birra. Più acidi alfa sono presenti nel luppolo, più la birra è amara. Questi principi sono presenti nelle ghiandole resinose presente sotto le brattee dei coni la cui grandezza suppongo varino molto nelle varie tipologie di luppolo. 

                       

Questi acidi dividono anche il luppolo in base all'uso; Il “luppolo amaro” tende ad avere livelli più alti di alfa acidi, mentre il “luppolo aromatico” ha livelli inferiori. Le varietà possono essere separate dalla quantità di acidi alfa in peso (AABW); Le varietà europee tradizionali (o nobili) hanno dal 5 al 9% di AABW, mentre alcuni ibridi americani più recenti hanno dall'8 al 19%. L'amaro da luppolo può anche essere misurato in International Bitterness Units (IBU). Per la amaricatura della birra, i coni, precedentemente seccati, sono bolliti per un certo tempo, una condizione nella quale avviene la isomerizzazione degli acidi alfa che li rende più solubili e ne aumenta il potenziale amaricante. Avvertenza per i proprietari di animali domestici: il luppolo è velenoso per i cani. 

Un sacco di notizie a proposito dei principi attivi amaricanti e aromatizzanti del luppolo lo trovate in questo sito:

 https://www.fermentobirra.com/homebrewing/il-luppolo/

Ora mi metterò al lavoro per trovare anche l'uso culinario giusto per questi ennesimi doni della natura



martedì 22 settembre 2020

Pollo al mirto

Il titolo sarebbe dovuto essere dei due giorni. Qualche anno fa, trovandoci a Ventotene, incontrammo due nostri nipoti, due fratelli in law figli di nostra cognata, che ogni anno si rivedono (lui vive a Berlino lei a Roma) alla festa di Santa Candida. La mattina stessa che li incontrammo, li invitammo a cena a casa nostra. Quella mattina facemmo una passeggiata verso l'Osservatorio ornitologico attraverso una strada di campagna costeggiata da rosmarini, mirti, salvie e numeroso finocchio selvatico. Prendemmo qualche rametto di tutto e al ritorno li usammo per aromatizzare il pollo. Ma i due ragazzi quella sera non potettero venire e rimandammo tutto per la sera successiva. Fu così che marinammo negli aromi settembrini dell'isola il nostro pollo per più di trenta ore. Il piatto che ne risulto fu fantastico.

Ripetei a casa, con gli stessi aromi ma di diversa intensità rispetto a quelli di Ventotene il piatto.

Prendete un bel pollastro, e tagliatelo (o fatevelo tagliare) in pezzi adagiatelo in un recipiente e alternatelo con abbondanti rami di mirto, rosmarino, salvia e finocchiella selvatica. Aggiungete un paio di denti d'aglio schiacciato e abbondante pepe e sale grosso.

Chiudete con Domopack il recipiente e lasciate che gli odori facciano il loro dovere per almeno 24 ore (ma se saranno più ore, non sarà peccato). 

Togliete gli odori e ripulite i pezzi di pollo dalle eventuali foglietti che vi rimangono attaccate, bisognerà dargli una belle abbrustolita al pollastro e le foglie darebbero sapore amaro alla preparazione. 

Dopo l'abbrustolita, rimettete qualcuno degli odori nel recipiente 

Aggiungete un sorso di vino bianco (io ho usato un ottimo frascati Casal Marchese) e a cottura quasi completata mettete abbondante aceto di vino e fatelo un po' svaporare. 

Servite e mangiandolo farete rivivere ai vostri ospiti tutti i profumi delle isole mediterranee.

domenica 20 settembre 2020

Il mirto (Myrtaceae)

Il 20 di Settembre, da tempo immemore, a Ventotene si festeggia la festa di Santa Candita, giovinetta africana che sotto Massimiano imperatore, fu intercettata dai romani davanti all'isola di Ponza, mentre fuggiva da Cartagine. Sull'isola fu martirizzata e il suo corpo fu gettato in mare che lo restituì all'isola di Ventotene. Questa storia di immigrati africani ributtati in mare non è cosa che finì in quegli anni e di martiri di quel tipo in questi giorni ne abbiamo a iosa. Ma questo è un post di festa e questi orrori non li tratteremo. Il corpo fu recuperato dagli abitanti di Ventotene di cui divenne la Patrona e che viene onorata con una festa che ancora oggi rimane una delle più belle in Italia.


In quei giorni si fa festa con giochi, processioni e con una banda sopraffina che suona ininterrottamente da mattina a sera per le vie del paese. 


Gli abitanti li rifocillano con caffè e dolciumi la mattina e con bocconi più sostanziosi e bicchieri di vino, la sera. 


Ma il gran finale è rappresentato da "o'pallon", ovvero il lancio dei palloni aerostatici dalla piazza e dal porto romano su nel cielo a portare ovunque la novella della santa.

                                


Nell'isola, seguendo le strade sterrate che si dipartono dal paese e nelle siepi che delimitano i campi cresce abbondante il mirto Myrtus communis, Linnaeus, un arbusto alto fino a 3 metri. Il mirto è presente in grande quantità in tutti le macchie dove lo ho cercato, da Orbetello a vari luoghi della Sardegna, dalle isole Greche alle baie Turche, dalla Corsica alle spiagge Calabresi.

Caratteristiche sono le sue foglie lanceolate che sfregate liberano un inconfondibile pungente odore resinoso. 

I fiori sono bianchi e i frutti delle bacche nere e molto aromatiche che servono per fabbricare numerosi liquori il più famoso del quale è il sardo Mirto. In questa stagione, a Santa Candita però e bacche sono ancora in via di formazione e appaiono così come le vedete in foto.



lunedì 14 settembre 2020

Liquorino di Prugnolo (Prugnolino?)

La raccolta di frutti del prugnolo è stata proficua, in quattro e quattr'otto ne abbiamo colti quanto ci bastavano. Ci siamo fermati a circa mezzo chilo perché almeno per quest'anno volevamo solo limitarci a vedere come veniva il liquorino se la procedura scelta fosse la più idonea. Quelli che abbiamo preso ci sono serviti per circa 800 ml di prodotto finito. 


La ricetta da cui siamo partiti, apportando alcune variazioni, è rubata al sito:
http://blog.giallozafferano.it/cuocapercaso/liquore-al-prugnolo/


Dopo una sommaria lavata (lavarli da cosa?) i 550 gr di prugnoli, sono stati immersi in 500 ml di alcool al 95% insieme a 4 noccioli di pesca 2 chiodi di garofano.

Chiuso il tutto in un barattolo di vetro, sono stati lasciati stare al buio in dispensa. 

Dopo circa 40 giorni, passato il succo, abbiamo timidamente provato a estrarre qualche cosa dalle bacche residue, ma con pessimi risultati. Il frutto ha un nocciolo molto grande, una buccia coriacea e una polpa sottile e sfilacciosa che impediscono l'uso di qualsiasi tecnica di estrazione del succo (da me conosciuta). Mia moglie ne ha assaggiato uno e ha detto che l'aspro era perso e che si sarebbero potuti usare per insaporire un gelato alla crema. Non credo che gli ospiti gradirebbero.

Abbiamo aggiunto 350 ml di vino bianco (uno Chardonnay di non eccelsa ma neanche scadente qualità) nel quale era stato sciolto 150 gr di Zucchero bianco

Abbiamo filtrato tutto prima attraverso un colino a maglie fine di metallo e quindi usando una calza di stoffa da marmellata. Non è venuto limpidissimo, ma il colore ci è sembrato sufficientemente accattivante da non dover andare avanti (come suggerisce il sito citato) con altri sistemi di filtraggio.

Infine abbiamo riempito le bottiglie per far maturare il tutto per una altra mesata al buio. 


Non prima di aver fatto un assaggino. 

Il liquore è piacevole, ha un deciso sentore di prugna con un gradevole retrogusto amaro/aromatico dato dai noccioli di pesca. Il chiodo di garofano non l'ho percepito e forse è stato un bene. Forse leggermente troppo forte come gradazione. Aspettiamo la sua maturazione finale. 

Siamo rimasti abbastanza soddisfatti. Ve lo consigliamo.

domenica 30 agosto 2020

Prugnolo, Pruno selvatico, Sgancio, Strangola cane.... (Rosaceae)

Nubi basse e nere hanno fatto capolino oggi sul lago. Non così buie come a febbraio/marzo, ma tali da creare un po' di agitazione nel cuore di chi le osserva. Si tornerà al pratone, alle interminabili passeggiate alla ricerca di erbaggi e frutti selvatici? 

Di certo il pratone ha qualcosa per noi raccoglitori in ogni periodo dell'anno. Una quindicina di giorni fa, per esempio, ho fatto una bella raccolta dei frutti del prugnolo, la cui esistenza mi riportava indietro ai miei vent'anni, quando i miei genitori affittarono una casa incuneata nelle mura di Bolsena. 


Mio padre, aveva trasformato il giardino della casa in un orto meraviglioso, e i turisti che andando al castello vi passavano di fronte, si fermavano, estasiati dalle sue piante di pomodoro e di melanzane messe in fila perfetta come fossero soldati. Mia madre ci viveva felice. Sopra il camino c'erano tra alcuni libri sulla flora e sulla fauna anche "Il margine del bosco" (Arrighetti, Attilio e Daria (1976). Il margine del bosco: atlante di flora nemorale indicativa. Manfrini Editore, Calliano - TN). E' leggendo quel libro - hygge ma allo steso tempo anche utile - che, per la prima volta, ho sentito nominare il prugnolo e subito dopo, al margine dei boschi vicino casa, ne ho fatto conoscenza. Il libro ha fatto parte della eredità che mi hanno lasciato e ancora oggi lo consulto spesso. 


A quella casa sono legati svariati ricordi, tutti sereni e felici. Una volta, era l'agosto del 1984, eravamo lì con mio figlio Giovanni di neanche un anno. Lui, saranno state le tre di notte, non dormiva, non ne voleva proprio sapere, così mi alzai e lo presi in braccio e passeggiammo per la casa. Quando si fu un po' acquietato ma non ancora del tutto, mi sedetti in poltrona e accesi la televisione. E fu così che vidi in diretta Francesco Damiani che, mettendo al tappeto l'inglese Robert Wells, si conquistò la medaglia d'argento alle Olimpiadi di Los Angeles. Non credo di aver mai più visto un incontro di pugilato da quella notte, ma allora vissi il tutto con trepidazione e alla fine gioii abbracciato a Giovanni finalmente addormentato. 

A chi è interessato dirò che Damiani perse la finale per la medaglia d'oro, alcuni giorni dopo, combattendo contro l'americano Tyrrel Biggs (nella foto). Il verdetto fu definito scandaloso. Lo speaker della BBC affermò che quella era stata "la peggiore decisione che io abbia mai visto in tutti i miei anni di commentatore". Imperitura gloria a Francesco Damiani, figlio di una Italia che non crede a se stessa e che anche quando picchia più forte di tutti non sa difendersi.

http://boxering.fpi.it/index.php/2018/10/04/accadde-oggi-4-ottobre-1958-nasce-a-bagnacavallo-francesco-damiani-auguriiiii/


Detto questo, il Prugnolo, o quel che io intendo come tale, corrisponde al Prunus spinosa di Linneo. 



L'arbusto è di foglie caduche e non supera i 4-5 metri e ha il tronco particolarmente ritorto e ricco di spine. Fa fiori bianchi nella prima primavera e nell'estate/autunno bacche nere dall'aspetto ceroso grandi quanto una mora, che sono fortemente acidule ma di profumo grato. Esse si usano, come vi narrerò presto, per preparare liquorini e marmellate.

domenica 23 agosto 2020

Radicchio dell'orso - Cicerbita (Asteracee)

Chiudo questa serie di post figliati dalla nostra esperienza in baita, con una erba che non conoscevo e non avevo mai assaggiato. Trattasi del radicchio dell'orso (Lactuca alpina, Gray 1883), una pianta appartenente alla famiglia delle Asteracee che mi dice il Gino e, mi confermano i testi, spunta nei giorni successivi al ritirarsi dei nevai. 

La Cicerbita in Italia cresce principalmente lungo l'arco alpino nella fascia compresa tra i mille e i duemila metri. Ha portamento alto, fusto cavo e fiori blu come mostrato dalla immagine riprese dal sito 

http://www.aas3.sanita.fvg.it/it/azienda_informa/whatsaas3/171835_piantevelenose.html#prettyPhoto (Questo sito è una interessante rassegna a cura della ex ASL 3 del Friuli che, oltre a censire alcune piante spontanee eduli della regione, indica i possibili confondimenti che si possono generare con piante tossiche).

Del radicchio dell'orso si consumano i germogli, che nascono ai primi di Maggio e che si possono raccogliere se si seguono i canaloni dove la neve si scioglie. I germogli di queste piante poi evolveranno in una pianta assai differente da quella di un radicchio ma che in ogni caso non sono riuscito a individuare nei prati lì intorno. 



 Pare non essere molto comune e che sia sufficientemente appetito dalle persone e dagli orsi (???) da essere stato necessario regolamentarne la raccolta. Dice il Gino che può essere consumato fresco, ma che il massimo lo da quando, dopo rapida bollitura nell'aceto, è maturato sott'olio con aglio, ginepro, lauro e grani di pepe, per un minimo di due o tre mesi.  E così noi lo consumammo.

 

L'atto con cui, una sera, il Gino ci aprì uno di quei vasetti dove aveva messo a maturare nell'olio il santissimo radicchio fu accompagnato da ritualità tali da farci capire che ci si trovasse di fronte a una manifestazione di grande affetto nei nostri confronti.

Lo mangiammo con del pane non bevendoci altro che acqua della montagna. Era buonissimo.

 

venerdì 21 agosto 2020

Minestra di Striduli (S-ciopetin)

Degli Striduli, che nei prati intorno alla baita del Gino crescono copiosi, abbiamo già parlato. 


Stavolta ho sostituito la ricetta romagnola, ormai consolidata, con una minestra di mia invenzione. Avevo in mente di fare una riedizione dell'acquacotta viterbese sostituendo le verdure della valle con quelle più delicate della montagna.

In pratica, una volta raccolti, ho tolto pazientemente le foglie dagli steli fino ad averne tre o quattro manciate.


Ho fatto andare della cipolla in olio con striscioline di speck comprato qui a valle (non eccelso a dirla tutta). 


Una volta che il soffritto aveva fatto il suo dovere ho aggiunto abbondanti le patate (due grandi per due). 


Dopo breve rosolatura, aggiunsi le foglie dello stridulo. Siccome il tutto mi sembrava un po' troppo delicato per una serata buia in montagna, ho aggiunto anche un po' di foglie di tarassaco che con il suo amarognolo dette un po' di vigore al tutto. 



Una volta che furono appassite le verdure, salai, aggiunsi l'acqua e portai a cottura sulla stufa a legna. 


 Sul piano di cottura della stufa feci bruscare del pane casereccio che servii con la zuppa.


Condito il tutto con olio a crudo e il pecorino stagionato anch'esso preso nella valle (Caseificio Turnario di Pejo), questo si di eccelsa qualità.




Note Finali
Di sicuro c'è ancora da lavorarci su. Prima di tutto meno liquido, forse più rosolate le patate. In ogni caso lo stridulo è erba delicata che forse è più adatta a trattamenti meno rudi. 
Sia quel che sia la mangiammo con piacere con una bianco (portato da casa) della azienda Agricola Casale Marchese.