venerdì 18 aprile 2014

Crema di asparagi selvatici con stracciatella di burrata, pane frattau e pioggia di gambuccio croccante.

Con mio padre, l'ultima passeggiata nei boschi, la feci alle macchie di Monte Romano a Trevignano. Andammo a prendere gli asparagi selvatici di cui lui andava ghiotto. Lui aveva, già da un paio d'anni, un cancro al polmone, ma non lo sapeva. Ma io si. Ci sarebbe morto il giorno prima di compiere 91 anni, un anno e un paio di mesi dopo quell'ultima passeggiata. Diceva che faticava troppo a inerpicarsi per quelle vallette, che gli mancava il fiato. Io lo schernivo dicendogli che, un po' di fiatone a novant'anni, sopratutto in salita, era giustificato. Sapevo che non poteva essere la lesione, che all'epoca era ancora una nocciolina posta proprio sotto la pleura, ma solo la solita mania a lamentarsi che lo contraddistingueva. Fummo fortunati quel giorno, non solo perché di asparagi ne trovammo un bel po' ma anche perché ad un certo punto cominciammo a sentire i versi di un fagiano in amore. Era il tempo suo, scherzammo e non più il tempo nostro, per fare i galletti in giro pei boschi.  Mio padre non portava gli occhiali ne' da vicino ne' da lontano. Siccome gli dava fastidio piegarsi, mi indicava i polloni da lontano e io li coglievo, recidendoli con un coltellino opinelle affilatissimo che lui portava sempre con se. Ogni volta che mi abbassavo, mi diceva: "batti, che le vipere si stanno svegliando". E già a fine febbraio-inizio marzo le ghiandole del veleno sono gonfie ma le vipere, che di solito scappano al sentire qualunque fruscio, sono ancora intorpidite dal freddo e possono rispondere in modo inusuale a vedere una mano che si avvicina tra le piante del loro regno. Tenetelo presente e battete la zona con un bastone prima di infilarci la mano dentro.
Dedico a papà questa ricetta che a lui non sarebbe piaciuta molto (lui amava frittata e pasta con gli asparagi), perché troppo macchinosa, ma che invece è stata gradita un bel po' dalla mia famiglia.


Ingredienti
Un mazzetto di asparagi che avrete trovato in una bella mattinata di fine inverno-inizio primavera, mezzo porro, una cipolla o la parte verde di un cipollotto, patate per 200 grammi, stracciatella di burrata (o burrata), prosciutto tagliato a striscioline da un gambuccio "nobile", pane frattau, sale, pepe, burro.
Ricetta
Pulite gli asparagi. Tutto ciò che non è edibile perché troppo duro o fibroso, lavatelo e mettetelo a bollire in poca acqua insieme a mezza cipolla (o il verde di un cipollotto) e a un po' di verde del porro.

Fate fondere del burro in un filo d'olio aggiungete mezzo porro (la parte bianca) tritato e, quando si è ammorbidito, gli asparagi, tagliati a tocchetti, tenendone da parte il 15-20 % delle punte per dopo. Aggiungete un paio di patate di 100 grammi ognuno, pelate e tagliate a tronchetti. Salate, pepate e aggiungete l'acqua di cottura degli scarti degli asparagi. Dopo una ventina di minuti, frullate tutto con il mixer a immersione e rimettete a cuocere a fuoco bassissimo. 



Eventualmente mettere un po' d'acqua se la vellutata risultasse troppo densa. Aggiungere le punte tenute da parte e far cuocere per altri cinque minuti in modo che queste rimangano croccanti. A parte tagliate una fettina di prosciutto dal gambuccio e fatene delle striscioline sottili che friggerete in una padella antiaderente con un nonnulla di olio fino a renderle croccanti.  Servite la crema, mettendo in ogni piatto una montagnola di stracciatella, una spolverata di pepe e le listarelle di gambuccio che avrete scolato del loro grasso. Servite a parte del pane frattau o a vostro piacimento crostini. 



Il prosciutto e questo pane rustico ma buonissimo che viene dalla sardegna, a mio avviso danno il giusto equilibrio al sapore forte degli asparagi e a quello ballerino e rinfrescante della burrata. Ci abbiamo bevuto sopra un Cesarini Sforza, spumante trentino classico, che è buono come un Ferrari ma meno frizzante e meno caro di circa un euro rispetto a quest'ultimo.

Rigatoni con asparagi selvatici del curato di Santa Maria a mare

La Pasqua del 1975 la passai insieme ad un bel gruppo di amici alle Tremiti. Avevamo affittato una casa per qualche giorno a San Domino e il sabato prendemmo il traghetto per visitare San Nicola. Forse per un disguido, forse per nostro rimbambimento, forse perché le corse pasquali erano ridotte, perdemmo l'ultimo traghetto e ci ritrovammo bloccati sull'isola. Ricordo Giovanni sconsolato, appoggiato a un muretto mentre guardava salpare il traghetto ormai irraggiungibile, lamentarsi che la mattina seguente sarebbero stati guai grossi per lui senza un bagno nel quale rinchiudersi tranquillo. L'esser superiore a Giovanni in questo genere di cose - ero avvezzo a fare quel che dovevo fare in qualunque situazione - fu però gloria di poco conto: lui in qualunque situazione faceva bene altro e in modo ben più soddisfacente. Giovanni aveva per'altro fugaci rapporti carnali con Gloria, anche durante quei giorni tremitani e anche quando si trovavano a stare nel letto vicino al mio. Pur avendo l'avvertenza di iniziare subito dopo che io mi fossi addormentato, ritmici movimenti e sospiri affannati mi svegliavano e il vederli avvinghiati mi addolorava. Gloria, la danzatrice finlandese dai capelli ricci e gli occhi profondi, mi piaceva infatti non poco. Mentre il mio cuore era lacerato e la giornata passava confusa da sostanze che rendono stupefatti, in quantità eccessive perfino per i nostri fisici di ventenni, ci trovammo a risolvere il problema di dove dormire. Era freschetto e non avevamo dietro nulla per coprirci, sarebbe dovuta essere una breve gita nulla più. Battemmo alle porte della astanteria della parrocchia di Santa Maria a mare (possibile che veramente si chiamasse così e che dopo quarant'anni ancora mi ricordi il nome a dispetto del tempo passato?) e un giovane ma cazzuto prete ci aprì, ci fece entrare, ci rifocillò e ci mise a disposizione un camerone con dei materassi per terra nell'interno della chiesa. Verso i preti non sento un grande afflato, non solo verso quelli cattolici: iman e muftà mussulmani, rabbini, monaci buddisti, sacerdoti induisti o zoroastrani per me pari sono. Ma certe volte c'è da dire che se ne incontrano di eccezionali. Il sacerdote in questione, di cui non ricordo il nome, era uno di quelli e dopo una notte passata in canonica - dove i due continuavano ad accoppiarsi dando uno spettacolo che mi strizzava il cuore - ci offrì anche il pasto della santa Pasqua che lui stesso con il nostro aiuto cucinò. Il pasto rimane uno dei vertici gastronomici della mia vita, che Vissani o Beck non raggiungeranno mai. Alcuni parrocchiani gli avevano regalato un capretto, che si diceva essere cresciuto libero sull'isola e che fu servito con patate e insalata d'orto. Altri parrocchiani gli avevano invece procurato un bel mazzo di asparagi selvatici con cui lui apprestò una pasta clamorosa. Del vino - un sfuso contadino pugliese - non posso dire altrettanto.


La ricetta della pasta era semplice, con un po' di cipollina appassita in olio e burro ad accogliere le punte degli asparagi bolliti per un tempo brevissimo nella stessa acqua nella quale avrebbero cotto in seguito i rigatoni. Alla fine nel padellone, la pasta era mantecata con abbondante cacio pecorino (io lo smezzerei con del parmigiano, a meno che non abbiate il suo stesso pecorino, molto soave) pepe, una noce di burro e un po' d'acqua della pasta per mantenere la giusta cremosità.



Partecipai al gruppo del lavaggio suppellettili usando l'acqua della pasta che era rimasta calda perché non c'era scaldabagno in canonica. Mentre usciva il caffè, con la coda dell'occhio vidi i due appartarsi giù da basso con aria furbetta. E va beh, pensai questa è andata, prepariamoci alla prossima battaglia perché questa è bella che persa. Gli asparagi, il capretto, le parole del prete cazzuto mi avevano reso più saggio.

PS Vedo ancora e sono rimasto molto amico sia con Gloria che con Giovanni. Lei è sposata con Carlo, ha smesso di insegnare danza e ha una figlia bella come lei. Ora tiene un Agriturismo a Trevignano in un annesso della sua bellissima casa. Giovanni ha lasciato l'università, ci eravamo iscritti insieme alla stessa facoltà, e di mestiere suona la chitarra, ed esattamente i Beatles. Lo potete trovare tutti i giorni che ha fatto Iddio alla fermata della metropolitana "Re di Roma" dalle 17 alle 19. Andateci, è bravissimo. Probabilmente avrebbe potuto ambire a palcoscenici più prestigiosi, ma si sa lui si spaventa anche solo per un traghetto che parte in anticipo. Ma ha altre qualità.

Asparago selvatico (Asparagaceae)

Con asparago si intende sia il germoglio sia la pianta in toto dell'Asparagus officinalis (Linneus, 1748). 



Originario del Nord Africa è diffuso ovunque nel bacino Mediterraneo ma anche in Asia fino e oltre la Mongolia. I rami, che nascono direttamente dal suolo, sono composti da morbide foglioline aghiformi raggruppati in modo alternato da gruppi di un massimo di 5 foglioline. Gli steli sono deboli così che i rami tendono a calare sotto il peso. 





Cresce in terreni aridi, ai margini dei boschi, nei fossi lungo le strade e intorno a vecchie piante nella macchia mediterranea. Concorrono a formare la macchia mediterranea. La parte edibile è rappresentato dal giovane pollone che sorge ai piedi (o nelle vicinanze) degli steli principali.


martedì 8 aprile 2014

Caccialepre, Grattalingua, Terracrepolo (Compositae)


Caccialepre, Reichardia picroides (L.) Roth è una pianta erbacea, perenne fornita di una radice ingrossata dalla quale vengono emessi getti formati una rosetta basale di foglie verde-glauco, glabre con margini spesso purpurei. Le foglie sono tenere e carnosette e contengono un lattice dolciastro.


Le foglie hanno una forma variabile, sono allungate e possono essere intere ma più comunemente divise in piccoli lobi. 


Dalle rosette emerge uno scapo, alto fino a 40 centimetri il quale porta capolini cilindrici piriformi prima della fioritura, costituiti da fiori gialli, gli esterni in genere bruni o venati inferiormente da strie purpuree. Il caccialepre cresce comune sui terreni sassosi, le scarpate e sugli incolti aridi fino ai mille metri di altitudine.


giovedì 3 aprile 2014

Misticanza presa di corsa, con tagliata di tonno al sesamo

Ero indeciso sul da farsi, se fermarmi da Marco a prendere un po' di latte della mattina (erano le cinque e dopo l'ora legale, Marco munge le sue pecore verso le sette abbondanti) oppure fermarmi a prendere qualche asparago su un fosso, al margine del bosco su uno stradello che conosco io. Ma avevo bisogno di immergermi un po' nella natura, volevo sentire puzza di pecora o infilare la mano tra ispidi grovigli di asparagina, volevo veder passare una volpe che tornava alla tana con l'ultimo prelibato topo in bocca. Troppo ero stato in fila sul raccordo - grande e anulare - troppo il mio sguardo non aveva visto altro che macchine in fila e i palazzoni della Serpentara che non si avvicinavano mai. Decisi che ero troppo stanco per fare il formaggio, e ho optato per gli asparagi. Ma il sentierino nel bosco non è noto solo a me per essere prodigo di asparagi e una mano lesta di qualche paesano mi aveva tolto il piacere di una frittata di asparagi. Vidi la scarpata piena di pimpinella, molta in fiore, altra buona da cogliere, qualche caccialepre, del crespigno, cicoria no che li non ne cresce e non mi andava di tornare indietro verso Cesano a farne sui campi di Via prato corazza. Poi un po' di finocchietto per odorare il tutto. A casa avevo un rimasuglio di radicchio di quello buono e della ruchetta di supermercato. La misticanza era bella e fatta in cinque minuti.




Ricetta
Tonno: due tranci belli altini per due persone, sesamo, soia, limone, misticanza profumata (nella mia c'era finocchiella e pimpinella a dar verve al tutto), olio e tutto quello che vi piace per condire.

Ho preso i due pezzi di tonno e, mentre preparavo l'insalata, li ho messi in una ciotola a marinarsi con la soia. Ho condito l'insalata con olio e pochissimo aceto e poi ho "impanato" i tranci di tonno nel sesamo e l'ho cotti violentemente e brevemente usando una padella dal fondo spesso. Come potete vedere dalla foto in realtà il tonno non era scottato ma bello cotto. Non così da rimanere stoppaccioso ma abbastanza per farlo piacere alla mia signora che troppo crudo non lo sopporta. Scaloppato (mi si perdono il termine da programma televisivo) l'ho adagiato sulla misticanza e ho portato questa sinfonia di sapori a tavola. Prima di tagliar il trancio l'ho fatto raffreddare sul tagliere, quindi l'ho messo ancora tiepido sulla misticanza. Non preoccupatevi, il nerbo di questa insalata sopporta ingiurie anche più violente. Nella fretta e nella pigrizia di non riuscire da casa, avevo dimenticato il vino. Quello che avevo in casa non c'entrava molto e così ho pasteggiato ad acqua di Nepi, che tra le acque locali è quella che preferisco.